di Andrew James
Ciulla
Non c’era niente d’insolito nel modo in cui Mrs. Rhees diede la comunicazione. Aveva utilizzato il tono monotono, pacato e metodico di sempre. Stavolta, però, ne fui turbato. Dentro di me riuscivo già a vedere gli occhi di papà brillare ed il suo fisico imponente fremere d’impazienza. Come un attore da strapazzo hollywoodiano, neanche papà avrebbe resistito a questa opportunità di mettersi in mostra. A dire il vero non c’erano attoruncoli ad Hollywood o sui palchi di Broadway più grandi di papà, un calzolaio.
Non che non volessi bene a papà. Gli si doveva voler bene, che si fosse
imparentati con lui o meno. Era affabile, cordiale e premuroso, e tutti nel
vicinato parlavano bene di lui.
“Ragazzi” aveva detto Mrs. Rhees “Il nostro preside sta invitando i
genitori di tutti gli alunni della scuola per il Loyalty Day Observances.
Vorrei che esortaste i vostri ad essere presenti, se possibile. Io sto mandando
inviti personali ai padri di tutti gli studenti della nona classe. Alcune
parole pronunciate da loro in chiusura, completeranno il nostro spettacolo. So
che molti dei vostri padri lavoreranno, ed alcuni non se la sentiranno di
parlare. Sarà sufficiente che tre o quattro accettino di tenere un discorso”.
Lanciai un’occhiata a Spencer De Moss. Sorrideva alla professoressa con
irritante superbia. Suo padre era procuratore del distretto ed un brillante
oratore. Il padre di Madelaine Cotter, invece, era consigliere comunale e non
si sarebbe mai lasciato sfuggire l’occasione di racimolare un voto qua e là. Ma
in quanto al resto, Mrs. Rhees avrebbe ricevuto dei cordiali rifiuti.
Di
norma papà non aveva modo di partecipare alle attività scolastiche. Lavorava
ogni giorno. La sua fabbrica di scarpe, comunque, si stava trasferendo in una
zona più grande e papà si stava godendo una lunga vacanza. Non riuscivo ad
immaginare papà che presenziava ad un qualsiasi evento senza parteciparvi
attivamente. Non volevo che fosse presente proprio a questo perché era un
esibizionista, non riusciva mai ad essere serio ed il suo miscuglio tra inglese
ed italiano era semplicemente comico.
Mr.
Wright, il preside, era stato il promotore del Loyalty Day Observances. Lo
spettacolo del giorno doveva essere allestito dai ragazzi della nona classe. La
maggior parte delle famiglie del quartiere aveva dei cari in servizio. Carl, il
maggiore di noi cinque fratelli, era all’estero nel bel mezzo dei
combattimenti, mentre mio fratello Victor aveva appena ricevuto la notizia
dall’Esercito che aveva superato la visita medica e sarebbe stato chiamato dopo
15 giorni. La mamma aveva uno sguardo afflitto e preoccupato ultimamente.
A
quel tempo non ero a conoscenza di quello che passava per la mente di papà,
delle forze che determinavano le sue azioni. Sono arrivato a concludere che le
sue farse fossero il risultato di un’indole spontaneamente impetuosa, associata
alla severa preparazione che papà ricevette quando, ancora ragazzo, aveva
cantato da baritono per una piccola compagnia d’opera italiana. Inutile dire
quanto fosse popolare nel quartiere e richiesto alle cerimonie. Nessuna
famiglia avrebbe mai pensato di organizzare un banchetto di nozze senza
invitare papà.
Questo genere di trattenimenti seguivano sempre lo stesso schema. Si
tenevano in ampie sale antiquate, piene zeppe di gente festosa. Alcune ragazze
carine servivano arachidi, biscottini, dolcetti e vino alla gente seduta.
Solitamente c’era una grande orchestra che suonava con trasporto mazurke,
walzer o tarantelle, mentre le coppie ballavano con una tale esuberanza da
urtarsi a vicenda fino, quasi, a cadere per terra. Ad un’estremità della sala
sedevano lo sposo e la sposa, ad un lungo tavolo sul quale venivano esposti i
regali e la torta nuziale. Al culmine dei festeggiamenti, l’orchestra smetteva
di suonare ed il direttore alzava le mani per richiamare l’attenzione di tutti.
“Signore e signori” diceva “dopo varie suppliche ed incitazioni, siamo
finalmente riusciti a convincere il buon Don Nicola Barone a cantare alcune
canzoni per noi. A voi –Don Nicola Barone!”
Papà procedeva con spavalderia fino al centro della pista, accompagnato
da una cascata di applausi provenienti da ogni parte della sala. C’erano anche
delle sonore risate al pensiero che papà si fosse fatto pregare ed incitare per
cantare. Dietro papà, quasi come un fedele cuccioletto, seguiva il magro, calvo
e mite Don Domenico, che si sedeva al pianoforte o abbracciava una chitarra, se
non c’erano pianoforti. Don Domenico era un bravo musicista ed amico di vecchia
data di papà.
Don Domenico strimpellava qualche nota d’introduzione e papà iniziava a
far tremare tutte le finestre della sala con quella potente voce da baritono
che si ritrovava. Qualunque cosa cantasse, la folla era sempre sfrenatamente
entusiasta.
“Bravo, bravo!” urlavano. “Per favore Don Nicola, ancora un’altra”.
Papà sorrideva maestosamente, faceva cenno a Don Domenico e si lanciava in un
altro inferno[1]
di suoni.
Quando papà riteneva di avere cantato abbastanza, alzava le mani
chiedendo l’attenzione di tutti in sala. Stava per arrivare al clou della sua
performance, mentre le donne ridacchiavano dandosi di gomito, e gli uomini si
scambiavano occhiatine d’intesa.
A quel punto iniziava il fiorito discorso
di complimenti, durante il quale papà non mancava di decantare le virtù dello
sposo ed elogiare la bellezza e le maniere raffinate della sposa. Ciò scatenava
uno scoppio di risate generali, e bonarie battutine volavano da ogni parte
della sala interrompendolo, tanto che papà finiva sempre per alzare le mani in
alto, comandando assoluto silenzio.
Ricordo bene la reazione della mamma a
tutto questo. La mamma non esprimeva mai la sua approvazione nei confronti di
tutto quello che faceva papà; ciononostante era orgogliosa di lui. Mentre papà
si esibiva, lei, seduta in un angolo, lo guardava con le ciglia aggrottate in
segno di disapprovazione, ma con occhi ridenti d’incoraggiamento.
Si, papà era proprio un terremoto. Quello
che non volevo era un terremoto a scuola.
Ero a casa la sera che papà lesse la
lettera di Mrs. Rhees. Quando la mamma gliela porse, era già aperta. La mamma
leggeva sempre la posta di papà.
Non appena lesse l’invito, gli occhi gli
si spalancarono “Grazia” disse, tutto eccitato “ti rendi conto che la mia
reputazione di oratore è arrivata persino a scuola?!”
“Sei un vanesio” sospirò lei “ Non ti ha
sfiorato il pensiero, Nicola, che probabilmente tutti i padri hanno ricevuto
questo invito?”
“Non importa. Sono stato invitato a
tenere un discorso e lo farò. Si, li stupirò con le mie qualità oratorie.
Aggiungerò nuova gloria al nome dei Barone”
La mamma rise bonariamente. Papà
improvvisò quell’assurdo ballettino che divertiva tanto la mamma. Di lì a poco
tutti e due ridevano di cuore.
Come dissuaderlo? Qualsiasi obiezione al
discorso per il Loyalty Day Observances sarebbe stata puro suicidio. Mi
aggrappai disperatamente alla speranza che papà dimenticasse o decidesse di non
tenerlo, oppure che avrebbero aderito all’iniziativa talmente tanti padri che
non ci sarebbe stato spazio per lui in scaletta. Tenevo le dita incrociate
mentre aspettavo il momento buono.
Due giorni dopo, durante la lezione di
storia, il dado fu tratto. La lezione era finita ed avevamo già messo via i
nostri libri, quando Mrs Rhees disse “Per ciò che concerne il Loyalty Day
Observances, ho ricevuto quattro adesioni ai miei inviti da parte dei vostri
padri. I quattro che hanno acconsentito a tenere un discorso sono: Mr. Jacob De
Moss, Mr. Arnold Cotter, Mr. Robert Furness e –l’esitazione fu quasi
impercettibile, ma fu comunque un’esitazione- Mr. Nicola Barone. Potreste per
favore ringraziare queste persone da parte mia?”. Ci fu il consueto brusio di
voci dopo una comunicazione. Io soffrivo maledettamente.
Tommy Gelfo, il mio migliore amico, si
avvicinò per sussurrarmi all’orecchio. “Questo si che è un bell’affare” mi
disse con compassione. “Cos’è?
Il tuo vecchio è per caso impazzito?”. Annuii con
autocommiserazione. Guardai Spencer De
Moss, che aveva stampato in faccia un ghigno irritante.
Quel giorno fu lungo e praticamente
insopportabile.
Quella stessa sera andai al negozio di
Sotile per comprare qualcosa per la mamma. La campanella sopra alla porta
tintinnò e Joe Sotile, l’unico figlio di Mr Sotile, si girò a guardare e mi
salutò con la mano. Joe era terzino nella squadra di football. Era un eroe ai
miei occhi .
“Ho sentito che il tuo vecchio terrà un
discorso venerdì! Ragazzi, quello sì che è un tipo! Farà sbellicare tutti dalle
risate!”. Le cattive notizie viaggiano in fretta.
“Stai zitto tu!” tuonò Mr. Sotile, mentre
spezzava degli spaghetti da incartare per Donna Concetta.
“Non ti permettere di criticare un uomo
come Don Nicola” disse donna Concetta, la quale comprava le cose un po’ alla
volta, di modo da essere presente ad ogni notizia e pettegolezzo. “Non sapevo
che avrebbe parlato venerdì. Tony non me l’aveva detto. Ma adesso che lo so,
sarò di sicuro presente. Con Don Nicola in scaletta, sarà di certo una festa
animata.”
“Stronzate! Voi vecchi mi sconcertate!”
Rispose Joe, sbigottendomi con la sua totale mancanza di rispetto nei confronti
di quelli più grandi di lui. “Pensate davvero che sia giusto che Mr. Barone
partecipi, mettendo in imbarazzo questo povero ragazzo davanti a tutta quella
gente? Ma come gli salta in mente di tenere un discorso, quando non sa neanche
parlare bene inglese?”
“Sei un insolente e non sai nemmeno
quello che dici. Non ti rendi conto di quanto sia intelligente Don Nicola. Sono
certo che in qualsiasi circostanza lui sa sempre cosa dire al momento giusto”
disse Mr. Sotile, rivolgendo a Joe uno sguardo truce.
“Lei ha perfettamente ragione” disse
donna Concetta, annuendo vigorosamente con la testa.
Mr. Sotile si scusò con donna Concetta “È
colpa mia. L’ineducazione di mio figlio è il risultato della mia permissività.
Conosce il vecchio detto: Campo non seminato produce scarsa messe”.
“Oh, lei non è il solo, don Pepe” replicò
donna Concetta “Sono i tempi. Anche noi abbiamo lo stesso problema a casa. Noi
genitori faremmo meglio a crescere porci, non bambini. Così, appena cresciuti,
li portiamo al mercato ed almeno ci guadagniamo qualcosa” “È vero” disse Mr.
Sotile. “Idioti” disse Joe.
Quando tornai a casa con la spesa, ero
visibilmente turbato.
La mamma mi chiamò “Ricco, vieni qui. Ti
ho visto un po’ assente da un po’ di tempo a questa parte. C’è qualcosa che non
va?”. Mi tastò la fronte per controllare se avevo la febbre. “Non è niente,
mamma” risposi. Come potevo dirle che mi vergognavo di mio padre?
“Vieni con me, figliolo” mi ordinò. Mi
fece sedere sul divano accanto a lei “Ora dimmi qual è il problema”. Calcolai
le possibilità, e crebbe in me la
speranza che probabilmente avrei potuto far capire alla mamma quanto fosse
assurda l’idea che papà tenesse un discorso a scuola.
Cominciai a parlare “Mamma, sai come sono
fatti i ragazzi. Se hanno qualcosa contro di te, ti rendono la vita difficile”.
La mamma annuì. “Se qualcuno in famiglia fa qualcosa di stupido, tutti i membri
ne sentono la vergogna. Tu mi capisci, vero mamma?”. La stavo implorando.
La mamma annuì di nuovo. Con voce fredda
mi chiese: “Stai cercando di dirmi qualcosa a proposito del discorso che papà
dovrebbe tenere venerdì, vero Ricco?”
Ignorando i segnali di tempesta, me ne
uscii fuori con un “Morirei di vergogna se papà parlasse venerdì”.
“Ti vergogni di tuo padre?”, chiese la
mamma con grande tristezza “Non l’avrei mai creduto. Abbiamo cresciuto una
serpe in seno. Vai subito a letto, ingrato. Tuo padre è stato fin troppo buono
con te. Non ti meriti un padre come il tuo”. Più scoraggiato che mai, andai a
letto. La mamma non mi capiva. In effetti,
era troppo sperare che mi capisse.
Quella notte feci un sogno così intenso
da soffrirne come se fosse stata realtà. Papà stava ritto sul palco della
scuola, declamando con una voce da uragano. Indossava una bombetta verde, un
vestito a strisce rosse e bianche, ed un paio di ridicole scarpe di cartapesta.
Agitava le braccia violentemente come delle girandole, e scuoteva la testa su e
giù , da una parte all’altra. La sua voce era così possente e stentorea che le
lampadine del soffitto oscillavano. Poi le pareti iniziarono a scricchiolare e
sui muri apparvero delle crepe. A quel punto fu il panico generale. Tutti
urlavano e si precipitavano verso le uscite.
Quando mi svegliai, stavo sudando freddo.
La mamma fece lo sciopero del silenzio
per tutta la settimana. Mio fratello Dom, schierato dalla sua parte, fece lo
stesso. Victor lavorava dopo la scuola, per cui lo vidi di rado; mentre papà
passò la maggior parte del tempo a casa di Don Domenico. L’affare di venerdì
pareva non toccarlo minimamente. Penso che se gli fosse stato chiesto di dare un
consiglio al Presidente, lo avrebbe fatto senza battere ciglio.
Finalmente arrivò il tanto atteso
venerdì. Quel breve tragitto per arrivare a scuola fu per me come andare al patibolo! Le lezioni
iniziavano e finivano e, nonostante non vedessi l’ora che quel giorno passasse
in fretta, detestavo ogni minuto che mi avvicinava sempre più al momento
dell’assemblea.
Mi stupì l’adesione dei genitori. Il
salone era strapieno di gente. Furono occupati persino dei posti a sedere
improvvisati per l’occasione. Cortesemente molti cedettero il loro posto,
restando in piedi. Non potevo fare a meno di pensare con amarezza che papà
stava per mettere in scena il suo spettacolo dinanzi ad una folla così
numerosa.
Diedi un’occhiata in giro e scorsi mia
madre seduta in fondo, tra gente estranea. Alcune file dietro, sedevano Donna
Concetta e Mr. Sotile. Tutto il vicinato era presente. La Murphy Post Band
iniziò ad intrattenere il pubblico con alcuni vecchi successi e marce
trascinanti. Lo spettacolo iniziò con il giuramento di fedeltà alla bandiera.
Poi la banda suonò “The Star-Spangled Banner”, mentre tutti cantavamo.
Non riuscii a godermi lo spettacolo in
pieno, turbato com’ero. A ripensarci adesso, l’esibizione delle nostra classe
fu degna di lode. La piccola Madeleine recitò una poesia molto commovente. Il
mio amico, Tommy Gelfo, sorprese tutti con una recitazione di cui nessuno lo
avrebbe ritenuto capace. Poi fu la volta di un quartetto di barbieri che
cantarono degli inni patriottici con armonico trasporto. La platea degli adulti
ci accoglieva con entusiasmo. Demmo il meglio di noi stessi mettendo in scena
una recita basata su un tema storico, per la quale c’eravamo esercitati
parecchio. Filò liscia fino all’ultimo, e la reazione favorevole del pubblico
in sala rese proficuo l’impegno profuso nel prepararla. Mrs. Rhees sfoggiava un
sorriso a 32 denti. Mentre gli operai di scena ripulivano il palco, la Murphy
Post Band intratteneva il pubblico con dell’altra musica.
A quel punto Mr. Wright avanzò verso il
centro del palco e presentò Mr. Robert Furness.
Mr Furness era un imprenditore edile, il
cui figlio Jimmy era con noi in classe. Era un uomo alto, magro, vestito in
tweed. Il suo discorso fu scorrevole e chiaro. Parlò dell’aumento del costo
della vita, delle cause che lo provocavano, di come frenarlo e dei pericoli che
correva la nazione se non si fosse intervenuti in tempo. Fu un bel discorso
pieno di saggi consigli. Lasciò la platea pensierosa. Era ciò che Mr. Furness
si era riproposto di ottenere con le sue parole.
Poi Mr Wright presentò il padre di
Madeleine Cotter. Mr Arnold Cotter era un uomo grasso e pelato, dotato di
quell’eloquenza tipica dei volponi politici. Il suo discorso fu scorrevole,
mentre spiegava la gravità degli scacchi militari subiti. Resistendo alla tentazione
di un’arringa politica, fece in modo di infondere nei nostri cuori la speranza
di una vittoria finale e della pace. Gli applausi furono generosi, e ciò giovò
sicuramente alla sua causa politica.
Quando Mr. Jacob De Moss avanzò a grandi
passi verso il centro del palco, diedi un’attenta occhiata in giro. Era uno dei
più brillanti oratori del tempo. Era un gran bell’uomo, dall’aspetto dignitoso,
e lo si considerava astuto come una volpe. Subito teneva il pubblico in pugno,
facendo tutto un discorso sulle ragioni storiche e le cause ed effetti della
guerra.
I discorsi di questi raffinati oratori
lasciarono il pubblico serio. Papà avrebbe rotto quell’atmosfera con delle
fragorose risate. Avrebbe trasformato quell’affare in una cosa grottesca e
ridicola.
Adesso Mr. Wright stava presentando papà
e lui, con fare deciso, avanzava a grandi passi verso il palco. Cominciai a
sudare freddo, scivolando giù dalla poltrona per la vergogna. Non osavo
incrociare lo sguardo dei miei compagni di classe. Con gli occhi chiusi,
pensando forse che sentirlo parlare sarebbe stato abbastanza penoso, ma vederlo
gesticolare violentemente sarebbe stato troppo, pregavo che finisse presto.
“Ecco che arriva il cabarettista” pensavo “Li farà rotolare per terra dalle
risate”.
Quando la voce di papà mi arrivò alle
orecchie, con sorpresa mi resi conto che non era come me l’aspettavo. Non stava
sussurrando, ma parlava con voce trascinante. Nonostante fosse controllato e
piuttosto moderato, l’accento italiano era pur sempre percepibile; ma papà gli
stava dando un fascino sorprendente. A poco a poco mi sciolsi. Guardai mio
padre come se lo stessi vedendo per la prima volta. Era tutto sincerità e
dignità. Mi venne da pensare “Papà è uno che la sa lunga!”. Poi prestai
attenzione a quello che diceva. Non proverò a riportare fedelmente quello che
disse, perché sarebbe impossibile. Ma, in buona sostanza, disse: “Mi dispiace
che le mia limitata conoscenza dell’inglese m’impedisca di dirvi quello che il
mio cuore vorrebbe dire. Ci sono così tante paure, così tante speranze e
suggerimenti per il presente ed il futuro che vorrei condividere con voi.
Fortunatamente, gli oratori capaci che mi hanno preceduto hanno detto queste
cose in grande stile. Ci sono, comunque, due linguaggi che sono universali: il
linguaggio della musica e della preghiera. Quando questi due linguaggi sono
combinati insieme, viene fuori qualcosa di veramente bello. Con il vostro
permesso, vorrei cantarvi una preghiera accompagnata da musica. Siamo tutti
coscienti del bisogno di una guida spirituale in questo periodo particolarmente
difficile, e conosciamo tutti la “Preghiera al Signore”. Vi canto la “Preghiera
al Signore”.
Don Domenico salì le scale del palco.
Andò al pianoforte senza dire una parola. Strimpellò qualche nota d’introduzione.
Pensai che papà li avrebbe fatti saltare tutti dalle poltrone! Mi sbagliavo di
nuovo.
Papà intonò le parole di quella
struggente canzone di preghiera con la cura di un tagliatore di diamanti.
Teneva sotto controllo la sua voce: era di una bellezza difficile da credere.
Man mano che le note si susseguivano prive di stonature, mi resi conto che era
sul serio un grande cantante. Ed era mio padre! Mi sentivo un nodo in gola ed
una pressione al petto, che riconobbi come un impeto d’orgoglio che cercava di
esplodere aldilà di ogni costrizione.
Molte cose mi furono chiare allora.
Riconobbi il papà che, nel mio egoismo, era diventato un estraneo, il papà che,
colto da insonnia, camminava in giro per la casa di notte. Aveva passato molte
ore guardando le strade fuori dalla finestra, non vedendo niente, ma pensando a
Carlo che era all’estero, chiedendosi dove potesse essere, cosa stesse facendo,
e se fosse ancora vivo. Poi pensai alle incursioni notturne di papà nella
nostra stanza, quando lui pensava che stessimo dormendo, e ricordai che ci
osservava tutti, uno per uno. Mentre lui cantava, io mi sentivo mortificato. La
mamma aveva ragione! Non meritavo un padre come lui.
Papà lasciava andare fuori la voce giusto
un pochino, emettendo note sincere. Mi provocò dei brividi lungo la schiena.
Mandò fuori le note di chiusura con dolcezza: arrivarono come angeli che
camminano con passo leggero su delle ragnatele.
Nonostante fossi in uno stato di
confusione, potevo sentire, e quello che sentii fu assoluto silenzio. “Non è
piaciuto” pensai “tengono le mani sotto il sedere!”. Mi stavo arrabbiando, e
avevo voglia di alzarmi e dire a tutti quello che pensavo di loro. Lentamente
si sollevò un applauso. In breve erano scrosci d’applausi. Poi tutti si
alzarono in piedi battendo la mani con grande trasporto.
Sentii una mano poggiarsi sulla mia
spalla. Quando mi girai a guardare, c’era Mrs. Rhees. “Ricco” mi disse, con
voce tremante per l’emozione “Che grand’uomo è tuo padre. Devi essere veramente
fiero di lui.”
Potei solamente annuire. Mi era
impossibile parlare. Andava bene comunque, perché nessuna parola avrebbe potuto
esprimere quello che sentivo.
A.J.
Ciulla, “Papa was a riot”, Rubicon Books, 1983 (traduzione
di Chiara Mazucchelli)
o
Testo originale:
PAPA WAS A
RIOT
There
was nothing out of the ordinary in the way Mrs. Rhees made the announcement. It
was in the quiet, businesslike monotone she always used. This one, however,
gave me quick alarm. In my mind's eye, I could see Papa's eyes gleaming and his
portly body quivering in eager anticipation. He could no more resist this
opportunity to show off than could a Hollywood ham. Actually, there was no
bigger ham in Hollywood or on the Broadway stage than was Papa, a shoemaker.
It
wasn't that I didn't love Papa. You had to love him, whether you were related
to him or not. He was kind, gentle, and considerate, and everybody in the
neighborhood had a good word for him.
"Students,"
Mrs. Rhees had announced, "our principal is sending invitations to the
parents of every pupil in school for our Loyalty Day Observances. I want you to
urge them to attend if at all possible. I am sending personal invitations to
the fathers of all ninth graders to participate. A few words from them will
round out our program. I know most of the fathers will be working, and some
will not feel like appearing on our program. If three or four will agree to speak,
it will be sufficient."
I
glanced at Spencer De Moss. He was smiling up at the teacher with irritating
smugness. His father was district attorney and a brilliant speaker. Madelaine
Cotter's father was an alderman and wouldn't think of passing up a chance to
pick up a stray vote here and there. But for the most part, Mrs. Rhees was
going to get polite refusals. Ordinarily Papa has no opportunity to come to the
school functions. He worked every day. His shoe factory, however, was moving to
larger quarters, and Papa was enjoying a lengthy vacation. I couldn't picture
Papa attending any affair without participating. I didn't want him attending
this one because he was an exhibitionist, he was never serious, and his English
mixed with Italian was comical.
Mr.
Wright, our principal, had thought of the idea for the Loyalty Day Observances.
The program was to be put on by the ninth grade. Most of the families in the
neighborhood had loved ones in the services. Carl the oldest of our five boys,
was overseas and in the thick of the fighting. Brother Victor had just received
notice from the Army that he had passed his physical and would be called in two
weeks. Mama was wearing a sick and worried look these days.
At
the time, I wasn't aware of what made Papa tick, of the forces that determined
his actions. His theatrics, I have come to realize, were the result of a
naturally enthusiastic nature coupled with the severe training Papa had
received when, as a youth, he had sung baritone for a small opera company in
Italy. Needless to say, he was popular in the neighborhood and very much in
demand at social functions. No family would think of holding a wedding
reception without inviting Papa.
These
wedding receptions followed the same general pattern. They were held in large,
stuffy halls jam-packed with a festive crowd. Pretty girls served peanuts,
cookies, sweets, and wines to the sitting populace. There was generally a large
band furiously playing some mazurka, waltz, or tarantella, while the dancing
couples nearly knocked themselves out on the floor with their eagerness. At one
end of the hall, at a long table on which were placed the wedding gifts and the
wedding cake, sat the bride and groom.
When
the festivities had reached a climax, the band would stop playing, and the band
leader would hold up his hands for silence.
"Signore
e signori," he would announce, "with much pleading and urging, we
have finally prevailed upon the good Don Nicola Barone to sing a few songs for
us. I giveyou—Don Nicola Barone!"
Papa
would swagger to the middle of the floor, with applause cascading all over the
place. There was much laughter, too, at the notion that Papa needed pleading
and urging to sing. Following Papa, almost like a faithful puppy, was the thin,
bald, and mild-mannered Don Domenico, who would seat himself at a piano or pick
up a guitar if there were no piano. Don Domenico was a really fine musician and
Papa's life-long friend.
Don
Domenico would strike a few chords of introduction, and Papa would proceed to
rattle every window in the place with that powerful baritone of his. No matter
what he sang, the crowd was wildly enthusiastic.
"Bravo,
bravo!" they would cry. "Please, please Don Nicola, another
one." Papa would smile majestically, nod to Don Domenico, and launch into
another inferno of sound.
When
Papa thought he had sung enough, he'd hold up his hands for complete silence.
The high point in his performance was coming up, and the women would giggle and
nudge each other while the men would exchange knowing winks. Then would begin a
flowery and highly complimentary talk by Papa, in which he would extol the
virtues of the groom and praise the beauty and the lady-like qualities of the
bride. This would produce a riot of laughter, and good-natured banter would fly
about the hall, interrupting Papa, who would finally raise his hands again
commanding silence.
I
remember Mama's reaction to all this. Mama never voiced approval of anything
Papa did, but she was proud of him, nevertheless. While Papa performed. Mama,
with her brows knit in disapproval but her eyes laughing encouragement, would
sit watching at the sidelines. Yes, Papa was a riot. What I didn't want was a
riot at school.
I
was home the night Papa read the letter from Mrs. Rhees. When Mama handed it to
him, it already had been opened. Mama always read Papa's mail. As Papa read the
invitation, his eyes grew wide. "Grazia," he said in excitement,
"see how my reputation as a speaker has reached the school!"
"You
are a vain one," she sighed. "Has it not occurred to you, Nicola, that
perhaps all fathers have received similar letters?"
"That
is of no importance. I have been invited to speak and I will accept. Yes, I
will astound them with my oratory. I will add new glory to the name of
Barone."
Mama
laughed good-naturedly. Papa went into his absurd jigstep that was designed to
amuse Mama. Soon both Papa and Mama were laughing heartily. To void? an
objection to Papa's speaking at the Loyalty Day Observances at this time would
have been pure suicide. I hung desperately to the hope that Papa would forget
or decide not to go through with it, or that so many fathers would consent to
speak there would be no room on the program for Papa. I had my fingers crossed
as I bided my time.
Two
days later in history class, the die was cast. The lesson was over, and we had
put away our books. "In regard to the Loyalty Day Observances on
Friday," began Mrs. Rhees, "I have received four acceptances to my
invitations to your fathers. The four who have agreed to speak are—Mr. Jacob De
Moss, Mr. Arnold Cotter, Mr. Robert Furness, and—" the hesitation was
almost imperceptible, but a hesitation nevertheless—"Mr. Nicola Barone.
Will you thank those men for me?" There was the usual murmur of voices
after the announcement. I was suffering.
Tommy
Gelfo, my best friend, leaned over to whisper to me. "Big deal!" he
said sympathetically. "What's the matter with your old man? Gone
crazy?" I nodded in self-pity. I looked at Spencer De Moss, and he was
wearing an infuriating grin. The day was long and practically unbearable.
That
night I went into Sotile's Grocery Store to do some shopping for Mama. The bell
over the door tinkled, and Joe Sotile. Mr. So file's only son, looked up and waved.
Joe was a fullback on the football team. He was a hero to me.
"So
your old man is gonna make a speech Friday! Boy, is he a character! He'll have
them in stitches!" Bad news travels fast.
"Silence,
you!" roared Mr. Sotile, who was in the act of breaking up some spaghetti
on wrapping paper for Donna Concetta.
"Do
not criticize a fine man like Don Nicola," said Donna Concetta, who did
her shopping piece-meal so as to be present for all news and gossip. "I
did not know he was going to speak Friday. My Tony did not tell me. I am surely
going now. With Don Nicola on the program, it will be a lively affair."
"Baloney!
You old folks give me a pain! Answered Joe, startling me with his complete lack
of respect for his elders. "Do you think that's a smart thing for Mr.
Barone to do—to embarrass the poor kid in front of all those people? Where does
he get off making a speech when he can't even speak English right?
"You
are an insolent one and do not know what you are saying. You do not realize how
intelligent Nicola is. I have confidence that he will know what to say and when
to say it, no matter what the circumstances," said Mr. Sotile, giving Joe
a dirty look.
"You
are absolutely right," agreed Donna Concetta, nodding vigorously.
"It
is my fault," Sotile apologized to Donna Concetta. "My son's bad
manners reflect the looseness of my training of him. You know the old saying,
AN UNWEEDED GARDEN PRODUCES A POOR CROP!"
"Oh,
you are not alone, Don Pepe," replied Donna Concetta, "it is the
times". We have that problem at home too. We parents would be further
ahead if we raised hogs instead of children. That way after they are grown, we
can send them to market and realize a profit." "That is true,"
agreed Mr. Sotile. "Nuts," said Joe.
When
I went home with the groceries, I was in a disturbed state of mind.
"Ricco,"
Mama called, "come here. You have not been yourself lately. Is something
wrong?" She put the back of her hand to my forehead to see if I was
running a temperature. "It's nothing. Mama," I answered. How could I
tell her that I was ashamed of my father?
"Come
with me, my son" she commanded. She sat me on the sofa next to her.
"Now," she said, "tell me what this is all about." I
weighed the possibilities, and hope grew that maybe I could make Mama see how
absurd it was for Papa to speak at the school.
"Mama,"
I began, "you know how kids are. If they get anything on you, they make
life miserable for you." Mama nodded. "If someone in the family does
something foolish, everybody in the family feels the shame of it. You
understand, don't you. Mama?" I was pleading.
Again
Mama nodded. Her voice was cold as she said, "You are trying to tell me
something about your father speaking Friday, are you not, Ricco?"
I
ignored the storm warnings and blundered on. "I will die of shame Friday
if Papa speaks."
"You,"
asked Mama with great suddenness, "ashamed of your father? I would never
have believed it. We have raised a viper in our midst. Go to bed, you
ungrateful child. Your father has been too good to you. You do not deserve a
father like that." Feeling more discouraged than ever, I went to bed. Mama
didn't understand. It was too much to hope that she would understand.
There
came to me in my sleep a fantastic dream so vivid that I suffered as much as if
the thing were real. Papa was declaiming on the school stage in a voice that
was like the hurricane. He was dressed in a green bowler hat, candy-striped
suit, and ridiculous red papier-mâché shoes. His arms were waving violently
like pinwheels, and his head was shaking up and down and from side to side. So
loud and overpowering was his voice that the ceiling lights were swaying. Then
the walls moved and started to crack. This started a panic. Everybody was
screaming and stampeding to the exits. When I awoke, I was in a cold sweat.
Mama
gave me the silent treatment for the rest of the week. My brother Dom, playing
politics, joined Mama in this treatment. Victor was working after school and I
seldom saw him, while Papa spent most of the days at the home of Don Domenico.
The affair on Friday wasn't bothering Papa in the least. If he were asked to
advise the President, I believe he would do so without blinking an eye.
Friday
finally came around. That short walk to school was like the walk to the death
chamber! The classes came and went, and though I wished the day were over, I
hated each passing minute because it brought me closer to the assembly hall.
I
was amazed at the response of the parents. The hall was jammed. Even the
improvised seating facilities were filled. Many obligingly consented to stand.
I couldn't help thinking bitterly that Papa was going to put on his act before
a "standing room only" crowd.
Looking
around, I spotted Mama sitting with complete strangers down front. Several rows
back I spied Donna Concetta sitting with Mr. Sotile. It seemed the whole
neighborhood was there. The Murphy Post Band began entertaining with some old
favorites and stirring marches. The program started with the pledging of
allegiance to the flag. Then the band played, "THE STAR-SPANGLED
BANNER" while we all sang.
Being
in an agony of anxiety, I could not at the time appreciate the program. As I
look back now, the performance of our ninth grade certainly was worthy of
praise. Little Madelaine recited a poem with stirring effect. My buddy, Tommy
Gelfo, surprised everyone with a recitation of which no one thought him
capable. Then there was a barber shop quartet that sang patriotic songs with
feeling and pleasing harmony. The grown-up audience was receiving us with
enthusiasm. We topped all efforts with a well-rehearsed play on a historical
theme. It went off smoothly, and the favorable reaction of the crowd made all
the work involved in preparation worthwhile. Mrs. Rhees was grinning from ear
to ear.
While
the stage hands were clearing the stage, the Murphy Post Band went to work
again and entertained with more music. Then Mr. Wright went to the center of
the stage and introduced Mr. Robert Furness.
Mr.
Furness was a building contractor, whose boy Jimmy was in our grade. He was a
tall, lanky man in tweeds. His delivery was smooth and easy. He spoke on the
rising cost of living, what caused it, how it could be checked, and what danger
to the nation this would constitute if it were not checked. It was a good
speech filled with sage advice. It left the audience in a thoughtful mood,
which is what Mr. Furness had set out to do.
Next,
Mr. Wright introduced Madelaine Cotter's father. Mr. Arnold Cotter was fat and
bald and had the eloquence required of a. practical politician. His speech was
slick, as he explained the seriousness of the military setback. To his credit,
he desisted from political harangue and did much to put hope into our hearts
for final victory and peace. The applause was generous, and he certainly did
his political cause no harm that day.
When
Mr. Jacob De Moss strode to the center of the stage, I took a long and careful
look. Here was one of the finest speakers of the time. He was handsome and
dignified, and his brain was reputed to be razor-sharp. He soon had the crowd
in the palm of his hand as he gave a brilliant, behind-the-scenes,
historical-background talk on the cause and effect of war.
The
mood that was created by these fine speakers was a deadly serious one. Papa was
going to shatter that mood with a resounding crash. He was going to make the
affair a grotesque and ludicrous thing.
Now
Mr. Wright was introducing Papa, and Papa was purposefully striding toward the
stage. I grew cold all over and slid down in my seat. I dared not sneak a
glance at my classmates.. Closing my eyes, perhaps with the thought that
hearing him was bad enough, but to see the violent gestures would be too much,
I prayed hard that it would be over soon. Here comes the comedian, I thought.
He'll have them rolling in the aisles.
Papa's
voice came to me, and with a shock, I realized it wasn't quite what I had
expected. His voice was no whisper by any means; it had carrying power.
However, it was restrained and rather gentle, the accent was there; it was so
thick you could slice it, but Papa was giving it a surprising charm. I sat up
and opened my eyes. I felt myself thaw out. I looked Papa over as if seeing him
for the first time. He was all dignity and sincerity. It came to me—Papa's been
around!
Then
I paid real attention to what he was saying. I won't attempt to quote him
verbatim; that would be impossible. He was saying in effect, "I regret
that my limited knowledge of the English language forbids my saying to you the
things my heart wishes to say. There are so many mutual anxieties I would like
to share with you, so many fears, so many hopes, so many suggestions for the
present and future. Fortunately, the very capable speakers before me have said
these things in grand style. There are, however, two languages that are
universal—the language of music and the language of prayer. When these two are
combined, a thing of beauty is created. With your permission, I would like to
sing for you a prayer set to music. We all realize the urgent need for
spiritual guidance in these troubled times, and we are all familiar with 'THE
LORD'S PRAYER'." I sing for you, 'THE LORD'S PRAYER'."
Don
Domenico was climbing the steps to the stage. He went to the piano without a
word. He struck a few chords of introduction. I thought that Papa was going to
blast them out of their seats! Again, I was wrong.
Papa
caressed the lyrics of that yearning, pleading song with all the care of a
diamond cutter. He had his voice well in check. There was beauty in it beyond
belief. With the succeeding flawless notes, I realized that he was truly a
great singer. And he was my father! There was a constriction in my throat and a
pressure on my chest that I recognized as pride trying to burst all restraint.
Many
things were clear then. I recognized the Papa who, in my selfishness, had
become a stranger—the Papa who paced the floor nights because of insomnia. He
had spent many hours staring out into the streets, not seeing, but thinking of
Carl overseas—where he might be, what he was doing, if he was well, and if he
was alive. Then I thought of Papa's nocturnal visits to our bedroom when he
thought we were all asleep, and remembered his staring at us one at a time. As
I listened to Papa singing, I felt thoroughly humble. Mama was right! I didn't
deserve such a father.
Papa
let his voice out just a trifle, emitting heart-felt notes. It sent a shiver
down my spine. He drew the closing notes out tenderly: they came like angels
treading on cobwebs.
Though
my vision was hazy, I could hear, and what I heard was absolute silence. They
don't like him, I thought; they're sitting on their hands! I was growing angry,
and I wanted to stand up and tell the crowd what I thought of them. Slowly the
applause rose. It rose to thunder. Then everybody was standing up and clapping
furiously.
I
felt a hand on my shoulder. When I turned to look, there was Mrs. Rhees.
"Ricco," she managed to say—her voice had an odd catch—"what a
great man your father is. You must be very proud."
I
could only nod. Speech was impossible for me. It was just as well, for no words
could have adequately expressed my feelings.