CARRAPIPANI? LADRI ED ASSASSINI

di Jerre Mangione

 

 

[Siamo a Rochester, nel nordest degli Stati Uniti, sul finire  della prima guerra mondiale. Jerre é un ragazzino appartenente ad una famiglia che proviene da Montallegro nell’Agrigentino. Un suo compagno di giochi, Robert Di Nella, detto il Kaiser, lo insulta dandogli del siciliano.]

 

 

          Se qualcun altro mi avesse chiamato siciliano non l’avrei presa come un insulto. Detta dal Kaiser, però, la cosa mi bruciava ed assumeva un significato diabolico, specialmente quando questa parola veniva seguita da insulti quali “estorsore” ed “assassino”. Per qualche tempo, i ragazzi della banda usarono questi improperi contro di me e contro mio fratello ogni volta che si arrabbiavano con noi. Il risultato fu che Joe ed io, normalmente in stato di guerra, cominciammo a venirci in soccorso quando uno di noi difendeva l’onore dei siciliani e veniva attaccato per questo.

          Trattandosi di un “lavoro di gruppo”, abitualmente vincevamo le nostre battaglie. Capimmo presto tuttavia che le previsioni volgevano disperatamente contro di noi. Tutti coloro che ruotavano attorno a Robert Di Nella erano più robusti, troppo grandi per noi. Ci si mettevano anche i giornali che erano ben felici di scrivere storie d’omicidi i cui protagonisti portavano nomi stranieri. Mio padre leggeva questi articoli con grande concentrazione, ansioso di scoprire se l’assassino era italiano e, in questo caso, se provenisse dalla Sicilia. “E’ brutta cosa che un italiano commetta un omicidio, ma é ancora peggio se lo commette un siciliano”, soleva dire.

          Nel caso in cui l’assassino fosse siciliano, mio padre aveva l’abitudine di dire con tono solenne che senza alcun dubbio il criminale proveniva da Carrapipi, un paese di laggiù che, secondo i miei parenti, non produceva altro che potenziali ladri, estorsori ed assassini. Non molti di loro avevano visto Carrapipi, le poco gradevoli esperienze che avevano avuto, tuttavia, con alcune persone provenienti da quel posto erano sufficienti a convincerli che tutti i siciliani condannati negli USA per gravi crimini erano nati in quel paese.

          I miei parenti avevano inventato un piacevole aneddoto per supportare quest’idea.  Il personaggio principale era un giudice carrapipano il quale, preso dallo zelo di far risparmiare lo stato sulle spese relative al lungo e costoso soggiorno dei grandi criminali nelle patrie galere, li spediva negli USA piuttosto che in prigione. La sua tattica consisteva nel pronunciare una pesante condanna nei confronti del criminale ed informarlo poi che una nave sarebbe partita pochi giorni dopo alla volta di New York. Successivamente, il giudice avrebbe gentilmente suggerito che se il prigioniero veniva reperito in Italia dopo la partenza della suddetta nave, la sua condanna sarebbe stata raddoppiata.

          “Naturalmente”, ci spiegava zio Nino ogni volta che raccontava questa storia, “la stragrande maggioranza dei criminali preferisce precipitarsi sulla nave. Andare in America, dove si dice che le strade siano lastricate d’oro, gli sembra certamente più gradevole che passare la vita in galera. Quel maiale di giudice, benché mosso da patriottiche motivazioni, é senza dubbio responsabile della miserabile reputazione di cui noi siciliani godiamo in questa terra infelice”.

          Chiamare qualcuno carrapipanu, che la persona provenisse o no da quel paese, era un insulto, dato che tale parola simboleggiava quasi tutto quello che ci fosse di maleducato e sgraziato. Uno degli attacchi più frequenti consisteva nell’accusa che i nativi di Carrapipi non sapevano neppure pronunciare correttamente il siciliano. Per esempio, invece di dire “Entrate” ingarbugliavano le parole – la loro lingua era probabilmente contorta come la loro anima – in modo tale che l’invito suonava piuttosto come “Non entrate”.

          A lungo ho creduto a quello che in famiglia si diceva su Carrapipi immaginando quel paese come un’isola tagliata fuori del mondo civile, abitata da disperati il cui maggior desiderio era quello di venire a Rochester per depredare i siciliani. Joe ed io giungemmo persino al punto di immaginare dei piani d’invasione di quel posto, armati di potenti fionde, per salvare la nostra diva del cinema preferita dalle grinfie degli indigeni. Subimmo uno choc quando un paio d’anni dopo scoprimmo che Carrapipi era ben poco distante da Girgenti, il paese dal quale proveniva la maggior parte della nostra famiglia, i cui abitanti erano peraltro dalla gente di Carrapipi considerati colpevoli della cattiva reputazione di cui godevano i siciliani in America. I carrapipani non possedevano aneddoti per sostenere la loro teoria, ma un piccolo velenoso distico che erano felici di ripetere ogni volta che qualcuno menzionava Girgenti:

 

Girgenti

mala gente

 

 

 

da Jerre Mangione, “Mount Allegro. A Memoir of Italian American Life”, Harper & Row, Publishers, 1943, pp.4-6, (traduzione di Aleksandar Šupeljak)

 



 

Testo originale:

 

CHAPTER ONE. When I Grow Up…

 

From anyone else the Siciliano might not have been so insulting. From “the Kaiser” it rankled and assumed diabolical meaning, especially when he followed it up with such invectives as ‘blackmailer’ and ‘murderer.’  For a time the boys in the gang used this propaganda against my brother and me whenever they become angry with us.  As a result, Joe and I, who were usually at war with each other, began coming to one another’s rescue when one of us was defending the honor of Sicilians and getting the worst of it.

          By such teamwork we usually won our fights.  But we soon learned that the odds were hopelessly against us.  There were grownup Robert Di Nellas all around who were too big for us.  There were also the newspapers, which delighted in featuring murder stories involving persons with foreign names.  My father would read these accounts carefully, anxious to determine, first of all, if the killer was Italian; if so, whether he hailed from Sicily.  ‘It is bad enough for an Italian to commit a murder, but it is far worse when a Sicilian does,’ he would say.

          In the event the murderer turned out to be a Sicilian, my father would solemnly announce that the criminal undoubtedly came from Carrapipi, a small town in Sicily which – according to my relatives – produced nothing but a population of potential thieves, balckmailers, and murderers.  Few of them had ever seen Carrapipi, but the unpleasant experiences they had had with some of its natives were enough to convince them that all Sicialians in the United States found guilty of serious crimes were born in Carrapipi.

          My relatives developed a beautiful legend to substantiate this idea.  The villian of the piece was a judge in Carrapipi who, in his zeal to save the state the expense of maintaining dangerous criminal in jail for many years, would send them to the United State instead of prison.  His tactic was to pronounce a heavy sentence on finding a criminal guilty, and then inform him that a boat was leaving Palermo in a few days for New York.  He would then blandly suggest that if the prisoner was found in Italy after the boat left, his sentence would be doubled.

          ‘Naturally,’ my Uncle Nino explained whenever he told the story, ‘most of the criminals preferred to catch the boat.  Going to America, where the streets were said to be lined with gold, certainly seemed more pleasant to them than spending their lives in jail.  That pig of a judge, however patriotic his motives were, is undoubtedly to blame for the miserable reputation we Sicilians have in the unhappy land.’

          To call anyone Carrapinanu, whether or not he actually came from that town was to insult him, for the name symbolized nearly everthing that was villainous or ungracious.  One of the most frequent charges made was that a native of Carrapipi could not evern speak the Sicilian dialect properly.  Instead of saying ‘Please come in,’ for instance, he would snarl the words—his tongue was likely to be as crooked as his soul—so that the invitation sounded like ‘Please do not come in.’

          For a long time I believed everything my relatives said about Carrapipi and imagined the town to be an island cut off from civilization and inhabited wholly by desperate characters whose chief ambition was to get to Rochester and prey upon the Sicilians there.  Joe and I went so far as to draw up careful plans for invading the place with powerful slingshots and rescuing our favorite movie queen from the clutches of the natives.  It was a shock to discover a few years later that Carrapipi was a very short distance away from Girgenti, the city where most of my relatives were born, and that the people of Carrapipi considered the natives of Girgenti responsible for the bad reputation Sicilians had here.  They had no legend to support their theory, but a nasty little couplet instead which they delighted in repeating every time Girgenti was mentioned:

                                                Girgenti

                                                Mal’agente

 

[Ringrazio i valguarneresi d’America Franco Arena (Villanova, PA) e Joseph Interlicchia (Rochester, NY) per avermi inviato il testo di Mangione, nonche’ la sig.ra Berrittella di Pittsford, N.Y. per la copertina del libro. E.B.]